Un’ora per raccontare quanto accaduto, dalle sentenze amministrative di Tar Lazio e Consiglio di Stato, a cosa è successo durante l’indagine. L’ex sindaco di Trinitapoli Emanuele Losapio ha tenuto domenica mattina una manifestazione pubblica per dare la sua chiave di lettura, spiegare alla città la vicenda dello scioglimento per condizionamento della criminalità organizzata che dopo 18 mesi ha interrotto il suo mandato amministrativo. «Avevo l’obbligo di tornare a parlare con i cittadini, ho atteso l’ultima sentenza del Consiglio di Stato prima di poter dire la mia -esordisce Losapio-. Ci abbiamo sperato e siamo andati convinti fino all’ultimo grado di giudizio, pur sapendo che la giurisprudenza in questo tipo di ricorsi è spietata. Si è su percentuali del 95% di bocciature, sono rarissimi i casi di accoglimento. Ritenevamo e riteniamo quello di Trinitapoli una storia molto borderline, trattandosi di un sospetto del sospetto quindi una sorta di culto del sospetto. Sino ad oggi nessun amministratore o dipendente comunale è stato sfiorato da provvedimenti di natura penale. I ricorsi amministrativi ci hanno dato la possibilità di accedere a tutto il fascicolo, c’è un’ordinanza del Tar Lazio (la n. 6123 del 3.8.22, ndr.) che ha desecretato tutti gli atti riguardanti lo scioglimento. I cittadini hanno il diritto di sapere quanto accaduto e perché è stato sciolto il consiglio comunale». L’ex sindaco all’interno della manifestazione ha raccontato partendo dalle indagini che hanno portato all’accesso ispettivo di luglio 2021, spiegando passaggio per passaggio quanto appreso dalle carte. «Il quadro indiziario riguarda diversi anni di attività investigativa, alcune indagini partono dal 2014-15 e poi proseguono nel tempo fino all’arrivo della commissione d’accesso del 2021. Ci sono due campagne elettorali analizzate, stralci di indagini di operazioni delle forze dell’ordine collegate alla criminalità organizzata da cui sono state acquisite prove tecniche che sino ad oggi non hanno portato ad alcuna inchiesta penale. Poi c’è l’analisi della scia di sangue che ha segnato la città tra il 2019 e il 2020, rispetto alla quale la politica non c’entra assolutamente nulla -prosegue Losapio-. Ed infine l’interdittiva di luglio 2020 comminata alla più grande associazione di volontariato di Trinitapoli e poi le denunce e gli esposti dei consiglieri di minoranza, tra novembre e dicembre 2020». L’ex sindaco ha rimarcato come sono terminate le due denunce presentate alla Procura della direzione distrettuale antimafia di Bari prima e poi a quella di Foggia. «Entrambe si sono chiuse con due archiviazioni perché il fatto non sussiste. Denuncerò qualsiasi soggetto continuerà ad associarmi a questa vicenda. Non si fa politica con la dignità delle persone, soprattutto, quando si prova a coinvolgerle in vicende rispetto alle quali sono del tutto estranei. A Trinitapoli tutti conoscono la verità, mi hanno rovinato la vita pur sapendo benissimo che né io, né la mia famiglia, né le persone che oggi sono con me abbiano avuto contatti diretti e indiretti con la criminalità». Sulle motivazioni dei ricorsi Losapio aggiunge: «Sono tutte vicende provenienti dal passato. Sui temi dello scioglimento c’è una discontinuità amministrativa tra la mia amministrazione e quella precedente evidente per tabulas. Questa è stata la base di tutti i ricorsi ed è la dimostrazione plastica di quanto non ci sia stato alcun condizionamento -spiega-. La discontinuità politica è chiaro che non poteva esserci perché la nostra è stata un’amministrazione di centrodestra che aveva un orientamento ben chiaro. Contestare, però, la continuità politica in assenza di vicende penali evidenti, senza responsabilità soggettive accertate, diventa pericoloso per la democrazia, perché significa scegliere chi vince le elezioni. La sovranità appartiene al popolo e non ad altri». Sulla questione incandidabilità l’ex sindaco annuncia ricorso alla Suprema Corte di Cassazione. «Sono provvedimenti figli di giustizia sommaria, si prende in considerazione solo una parte dell’indagine senza dimostrare un reale collegamento diretto o indiretto con la criminalità, collegamento che non esiste assolutamente. Sono supposizioni molte volte figlie di congetture utilizzate per giustificare il provvedimento. Ci sono anche molti errori storici nel decreto. Non vi è un atto amministrativo dove si concretizza una responsabilità soggettiva, ma tante vicende rispetto alle quali viene contestata la colpa in vigilando e il non essermi opposto in passato con soluzioni alternative. Le basi per un ricorso in Cassazione ci sono alla luce anche di ultime sentenze, che su vicende molto simili hanno ribaltato la situazione ed hanno annullato le incandidabilità per ex sindaci e consiglieri».